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Dopo avere trattato di Mission, Valori e Comportamenti nella prima parte di questo articolo, analizziamo ora un altro tema trattato nel libro di Massimo Folador, “L’organizzazione Perfetta ovvero la guida di sé stessi e degli altri.

Ricordiamoci che stiamo parlando di organizzazione aziendale partendo dalla Regola scritta da San Benedetto (dunque di oltre 1500 anni fa) che consentì ai suoi monasteri di svilupparsi e crescere in tutta Europa grazie al lavoro, a un metodo, a una straordinaria dedizione alla trasmissione della cultura ai posteri e, infine, a una organizzazione perfetta.

Guidare se stessi

L’organizzazione non potrà mai essere “perfetta” se non parte dall’attenzione alla persona e alla sua crescita.

San Benedetto è molto chiaro in questo e noi oggi ne siamo consapevoli e concordi. Ancora di più, in una economia che va verso la digitalizzazione dei processi e un uso sempre più spinto della tecnologia, deve essere chiaro che la persona non va mai messa in secondo piano. Al contrario, deve emergere con chiarezza il progetto che la coinvolge e il percorso da condividere. è il singolo individuo la struttura portante attorno al quale l’organizzazione deve crescere.

In tal senso la Regola mette in risalto che la persona non è fatta solo di mente e cuore ma ha bisogni pratici legati alla vita quotidiana che un’organizzazione non può dimenticare: San Benedetto parla, ad esempio, di alimentazione e riposo, ma è facile vedere in questo i prodromi di quello che oggi chiamiamo welfare aziendale.

Guardare dentro sé stessi, quindi, per imparare a orientarsi in un percorso che deve contribuire anche a guidare gli altri. E il primo strumento cui ricorrere è il silenzio (già individuato come virtù) imparando, anche nella vita convulsa che conduciamo oggi, a ricavare nel corso della giornata momenti di quiete e di riflessione per pensare, ascoltarsi, progettare, ideare, innovare: si tratta di solito di processi lenti che però possono avere accelerazioni impreviste che, tuttavia il silenzio e le pause possono agevolare. Non si faccia l’errore di pensare che questo aspetto riguardi solo alcuni (es il manager): San Benedetto invita tutti ad attuarlo, perché a tutti è utile e tutti sono utili nell’abbazia al pari di quanto avviene nelle nostre organizzazioni moderne.

La discrezione è uno degli atteggiamenti mentali che permea la Regola e diviene comportamento raccomandato all’abate. Anche quando fatti e regolamenti devono essere rispettati, l’invito è ad andare un po’ oltre le norme, perché non basta rispettarle, così come non bastano divieti e punizioni per consentire di giungere ai risultati attesi.

Le parole di San Benedetto all’abate al capitolo 64 chiariscono perfettamente cosa si intende. Usi prudenza nel correggere, perché il troppo guasta e mentre vuole levare la ruggine, non rompa il vaso: consideri sempre con diffidenza che anch’egli è fragile e ricordi che la canna incrinata non si deve rompere. Con questo non diciamo che lasci crescere i vizi, anzi li recida con prudenza e carità, nel modo che vedrà più utile per ciascuno e si sforzi di essere amato più che temuto.

La discrezione è un atteggiamento da usare con sé stessi, per scavare nelle proprie debolezze e far emergere i lati migliori, consentendo di comunicare più facilmente con gli altri, siano essi colleghi, collaboratori, ma anche figli, amici e chiunque condivida con noi un cammino e delle aspettative. Questo porta ad accettare la diversità di chi ci sta intorno e sappiamo quanto oggi abbiamo bisogno di questa accettazione, dal momento che viviamo in una società fatta di infinite variabilità.

Al cellerario (oggi diremmo il CFO) invece San Benedetto chiede saggezza, moderazione, maturità umana. Le chiede in quanto persona che deve gestire tuti gli aspetti economici della comunità. E noi, parimenti, le vediamo come virtù di chi deve guidare le nostre organizzazioni nell’intrico delle difficoltà economiche e finanziarie. Saggezza come capacità di vedere sé stessi in profondità e poi andare oltre, per percepire a fondo ciò che ci circonda.

Per arrivare alla saggezza bisogna partire dall’umiltà. Se non sei umile cessi di studiare e quindi di imparare, senza umiltà non puoi cogliere gli aspetti positivi che si celano dietro le crisi e non cogli le opportunità che nascono. Essere umili significa far crescere quella maturità umana che è fondante per sviluppare la comunità, partendo da sé stessi e andando verso gli altri. Raggiungere la maturità significa essere pronti a cogliere i frutti del proprio lavoro, facendone godere agli altri e consentendo alla comunità nella quale si lavora e si vive di progredire.

Attenzione, la maturazione è un processo lento, che non passa per una sola stagione di successo (un anno di aumento di marginalità e fatturato), ma richiede tempo per coinvolgere la persona e l’organizzazione nella loro interezza. Oggi, purtroppo, non sappiamo dare alle persone il tempo che serve per maturare. Così facendo contravveniamo a un punto della Regola che è stato uno dei cardini dello sviluppo delle abazie nei secoli, come scrive Folador, “dove esistono valori condivisi e qualità umane positive, la crescita delle competenze e i risultati che ne conseguono sono soltanto questione di tempo”.

Guidare gli altri

San Benedetto, scrivendo la Regola nell’ultima parte della sua vita, intende lasciare una “traccia piccolissima” a chi verrà dopo di lui, proprio per guidarlo in un cammino difficile e sapendo che l’uomo è perennemente “combattuto e fragile”.

Oggi sappiamo che, passati 1500 anni, l’uomo non è cambiato, continua ad essere combattuto e fragile e forse lo è ancora più di allora. Da qui l’importanza di regole, orari, criteri, modi di fare, che il Santo indica in molti capitoli della sua regola per dare concretezza all’organizzazione della comunità. Con questo ci insegna che una gestione delle risorse umane attenta e lungimirante è fatta anche di “pedanti istruzioni” predisposte per “tenere dritta la barra”.

Per San Benedetto l’attenzione del monaco (e per noi quella del collaboratore in azienda) deve essere centrata sui fatti, tanto che al capitolo 4 c’è la descrizione minuziosa dei comportamenti che il monaco deve tenere, che chiama gli strumenti delle buone opere, dove si afferma che “l’officina in cui bisogna usare con la massima diligenza questi strumenti è formata dai chiostri del monastero e dalla stabilità della propria famiglia monastica”. Come a dire che nessuno deve dimenticarsi che le regole che valgono nei comportamenti quotidiani sono universali, e valgono tanto all’interno che all’esterno delle nostre organizzazioni.

Guidare gli altri in un percorso professionale e di vita significa perciò mettere paletti non per ostacolare le persone ma per farle crescere in modo utile tanto a sé stessi che all’organizzazione. In questo San Benedetto si rivolge all’abate (quindi all’AD) e, in subordine, al priore (DG), al cellerario (CFO) e ai decani (i manager) quindi a tutti coloro che hanno responsabilità nel monastero. Come accade oggi in azienda quando si devono prendere decisioni importanti, sono coinvolti tutti i livelli, perché solo andando tutti in una direzione si possono cogliere gli obiettivi fissati.

Nel rivolgersi a tutti San Benedetto sottolinea come il tempo dedicato al cuore e il tempo dedicato alla ragione, debbano essere armonizzati (qui possiamo ritrovarvi è l’intelligenza emotiva di Goleman) e a questo serve la comunità e ciò che in essa accade. L’alternarsi di fatti e emozioni, di parte razionale e spirituale (lavoro e pensiero), manualità e ascolto, porta l’organizzazione a ottenere risultati concreti (come profitto e marginalità) senza escludere la realizzazione delle aspettative sul futuro di ogni singola persona.

Dalle emozioni San Benedetto arriva a parlare di amore, caritas verso gli altri, quell’avere cura e attenzione per l’altro per aiutarlo a raggiungere i risultati che sente come propri, nella consapevolezza che in questo modo si raggiungono anche gli obiettivi del monastero. Ci sono aziende dove questi principi vengono comunemente applicati, dove chi guida comprende gli altri, li ascolta, vi presta attenzione, ma questo funziona solo se tutta l’azienda è permeata di questo spirito e non se tale attenzione, partendo dall’alto, si arresta al primo livello.

Della comunità monastica San Benedetto sottolinea più volte che le persone che ne fanno parte sono diverse per carattere, aspettative, vissuto e questo aspetto è forse uno dei più moderni se pensiamo alle grandi differenze che troviamo oggi tra le persone delle nostre comunità.

La persona, il monaco come il collaboratore delle nostre organizzazioni, sono unici e dunque tutti i componenti dell’organizzazione sono diversi tra loro. Chi guida deve sapere creare una comunità in cui persone diverse possano vivere e lavorare in armonia, a tutti i livelli (carattere, aspettative, ecc.), valorizzando i talenti attraverso una flessibilizzazione dei comportamenti che esclude la standardizzazione dei rapporti interpersonali.

In un mondo sempre più ipertecnologico è indispensabile che chi guida gli altri sappia, secondo le parole del Santo, “serbare quella norma apostolica secondo la quale è detto: persuadi, riprendi, esorta. Ossia alternando, secondo opportunità, rigore e dolcezza, mostri l’aspetto severo del maestro e quello tenero del padre.” E ancora: “tratti l’uno con la dolcezza, l’altro con le minacce, l’altro con la persuasione: si adatti e si conformi a tutti, secondo l’indole varia e le capacità di ciascuno”.

Al termine di queste considerazioni, pur senza affermarlo, San Benedetto porta il lettore a concludere che solo chi ha imparato a guidare sé stesso affrontando le difficoltà del suo percorso, può essere capace di guidare con efficacia chi ha di fianco e portare la propria organizzazione verso l’eccellenza.

In conclusione

Guidare sé stessi significa avere coscienza del proprio ruolo, orgoglio del proprio lavoro, consapevolezza di far parte di un’organizzazione che facciamo crescere e del cui successo siamo responsabili, qualunque ruolo ricopriamo. Coscienza di appartenere a una comunità, sempre unica e irripetibile, che ha scopi che vanno oltre la massimizzazione del profitto, perché parte dalla persona, dalle sue radici, motivazioni, capacità, passioni e arriva allo sviluppo dell’azienda attraverso dinamismo, creatività ed entusiasmo che solo le persone motivate possono esprimere.

Guidare gli altri con uno stile che faccia emergere le eccellenze e non le deprima, ascoltando, persuadendo, smussando quando necessario, sempre con intelligenza e una grande sensibilità è fondamentale per un’azienda che voglia restare competitiva, stare sui mercati creando valore, perché il valore parte dalle persone, che lo esprimono se vengono spinte a farlo con la giusta motivazione.

Anche per questa seconda parte un grazie va a Massimo Folador che con il suo libro continua a farci scoprire il percorso che un grande Santo ha fatto anche come grande uomo d’azienda.

Bibliografia
Massimo Folador, L’organizzazione perfetta. La regola di San Benedetto, ecc. Ed. Guerini e Associati, 2006
San Benedetto da Norcia, La Regola, Ed. Shalom

Riproduzione riservata©


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